Italia – Storia
Sindacati
L’Italia divenne uno stato nazionale il 17 marzo 1861, quando la maggior parte degli stati della penisola furono uniti sotto il re Vittorio Emanuele II di Casa Savoia, che governava il Piemonte. Gli artefici dell’unificazione italiana furono Camillo Benso, conte di Cavour, primo ministro di Vittorio Emanuele, e Giuseppe Garibaldi, eroe generale. Dopo l’Unità d’Italia, il paese non aveva un proletariato di fabbrica simile alle nazioni europee più industrializzate. Le uniche figure embrionali riconducibili al movimento sindacale erano le società di mutuo soccorso, che però rifiutavano lo sciopero come mezzo di lotta, preferendo la semplice solidarietà tra i propri iscritti.
Solo alla fine del XIX secolo sorsero i primi movimenti sindacali e le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori. Grazie al decollo industriale che visse l’Italia tra l’inizio del ‘900 e l’ingresso nella prima guerra mondiale, si formò in epoca giolittiana il proletariato industriale che era stato assente negli anni successivi all’unificazione. Nel 1906 nasce la prima confederazione sindacale, che riunisce le precedenti federazioni di categoria presenti su tutto il territorio nazionale, la Confederazione Italiania Generale del Lavoro (CGIL).
Gli anni che precedono la prima guerra mondiale furono caratterizzati dall’ascesa della popolarità del partito Socialista.
Nel centro nord Italia era molto forte la presenza del Partito Socialista, che si esprimeva nel controllo delle amministrazioni comunali e soprattutto delle ‘leghe rosse’, sindacati che rappresentano la quasi totalità dei lavoratori della zona. Il sistema delle leghe rosse, se da un lato proteggeva le posizioni del proletariato, presentava anche gravi distorsioni, poiché chi non ne faceva parte non aveva praticamente alcuna possibilità di trovare un impiego. Le leghe infatti gestivano propri uffici di collocamento dove era necessario essere iscritti per essere cooptati dai datori di lavoro.
Dopo la fine della guerra, il Paese ha vissuto un periodo di violente proteste di piazza e un altissimo livello di conflitto sociale.
Nel 1919 il sindacato metalmeccanico, il più forte all’interno della Confederazione Generale del Lavoro (FIOM, Federazione Italiana Operai Metallurgici), indisse una serie di scioperi per ottenere un miglioramento delle condizioni salariali e di lavoro. A seguito del rifiuto dei rappresentanti degli industriali, la FIOM diede ordine a circa 400.000 operai di occupare gli stabilimenti, la cui sorveglianza fu affidata alle “guardie rosse”, vere e proprie pattuglie armate di lavoratori. Anche il settore dei servizi pubblici, tradizionalmente poco sindacalizzato, ha subito una serie impressionante di astensioni dei suoi dipendenti.
Nel secondo dopoguerra si verificò un episodio di cronaca che suscitò tanto clamore nel Paese da sfociare in una serie di violente manifestazioni di piazza: l’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista, da parte di un giovane di destra . A seguito di questo incidente, la componente social-comunista della CGIL ha proclamato una serie di scioperi nazionali, in disaccordo con la corrente cattolica moderata. Quest’ultima, dal canto suo, lasciò per protesta la CGIL e fondò una nuova federazione sindacale, la CISL (Confederazione Italiana Sindacale del Lavoro). Di lì a poco anche i socialdemocratici ei repubblicani optarono per la creazione di una nuova sigla sindacale, la UIL (Unione Italiana del Lavoro). Questi tre sindacati sono stati, con alterne fortune, i principali protagonisti della scena economica e politica nazionale, almeno fino a questi ultimi anni.
Successivamente, l’Italia ha vissuto un periodo di forte conflitto politico e sociale, innescato dalla protesta giovanile d’oltremare e culminato poi nell’autunno caldo del 1969. A differenza del passato, alle esigenze del mondo operaio si sono sovrapposte le istanze proveniente da un universo giovanile in fermento, che vedeva nel proletariato il naturale alleato per il rovesciamento dell’ordine borghese costituito.
Spesso e volentieri i sindacati non erano più ritenuti in grado di rispondere ai bisogni sempre più pressanti di una società in continua evoluzione e troppo compromessa con le istituzioni ei partiti che cercavano di sostituirsi.
Nell’era attuale, caratterizzata dalla rivoluzione digitale e dalla globalizzazione, i sindacati hanno ulteriormente perso il peso che avevano nel Novecento, anche a causa della trasformazione strutturale dell’economia, che ha visto il suo centro in Italia spostarsi dal settore secondario al il settore terziario. Inoltre, i sindacati hanno risentito della forte crisi di rappresentatività che ha caratterizzato il nostro recente periodo politico, determinando un proliferare di sigle autonome e una perdita di fiducia nelle tradizionali organizzazioni sindacali.
Movimenti femministi
L’Italia ha vissuto vividamente come protagonista il movimento femminista, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, le rivendicazioni dei movimenti femministi in Italia erano incentrate sull’emancipazione e l’uguaglianza, ovvero la richiesta di avere uguali diritti e doveri con gli uomini e il desiderio di guadagnare spazio nella vita nazionale, economica, personale e sociale, pari a ‘ colleghi di sesso opposto. Il diritto di voto per le donne arrivò nel 1946 e la parità di retribuzione fu una conquista nel 1957, solo per fare due esempi indicativi.
Tra gli anni Sessanta e Settanta, però, il femminismo in Italia si fa portatore di nuove rivendicazioni. Nuove istanze e bisogni che hanno preso il nome di liberalizzazione e indipendenza. Liberalizzazione del ruolo della donna e della sua indipendenza, accompagnata dalla capacità di autodeterminarsi e autogestirsi, con o senza un uomo al loro fianco.
Numerosi gruppi femministi e collettivi femministi si sono costituiti in Italia negli anni ’70, grazie al fermento sociale e culturale del periodo, in cui le donne discutevano, si confrontavano, si incontravano e si organizzavano.
Hanno criticato i modelli patriarcali legati al machismo. Vengono contestati ordini precostituiti basati su figure maschili di riferimento. Il fulcro del dialogo e del dibattito è sulle istituzioni e sui valori della società patriarcale. Come affermato nel “Manifesto della rivolta delle donne” del 1970: “Il femminismo è stato il primo movimento politico a criticare storicamente la famiglia e la società”.
Numerosi furono i movimenti e le associazioni, come la ‘Lotta Femminista’, il ‘Movimento di Liberazione delle Donne’ o il ‘Fronte Italiano per la Liberazione delle Donne’, solo per citarne alcuni. Numerose sono state le richieste, gli interessi, gli ambiti di discussione e di intervento.
Tra i cavalli di battaglia del femminismo negli anni ’70 c’era sicuramente la liberalizzazione sessuale, attraverso la liberalizzazione della contraccezione e dell’aborto. Per questo il MLD ha organizzato incontri e manifestazioni. La legge sull’aborto è del 1978.
Movimenti Green
In Italia la tradizione ambientalista risale agli anni Cinquanta. Una tappa importante fu la fondazione di Italia Nostra nel 1955, con un programma che tendeva a contrastare il saccheggio delle terre all’inizio del ‘miracolo economico’. Fu dopo l’incidente di Seveso (1976), con la fuoriuscita di diossina dagli impianti di un’azienda chimica e i primi dibattiti sulle centrali nucleari, programmati in gran numero nel Piano Nazionale Energetico approvato dal Parlamento nel 1977, che il movimento ecologista ha assunto una nuova dimensione in Italia, riunendo tre anime: quella ambientalista, quella ambientalista e quella legata alla cosiddetta ”ecologia politica”. Dopo la catastrofe di Chernobyl, questo processo culminò nei referendum antinucleari del novembre 1987, quando circa l’80% dei cittadini italiani votò contro la costruzione di centrali atomiche. Allo stesso tempo, l’impegno politico diretto di una sezione del movimento ecologista ha dato luogo alla formazione di liste elettorali ”verdi”. Il partito dei Verdi fece il suo debutto alle elezioni politiche del 1987 e ottenne il 2,6% dei voti, ottenendo 13 seggi alla Camera e due senatori. Portano membri in Parlamento fino al 2008. Da allora sono fuori dal Parlamento italiano, e conducono campagne piccole ed extraparlamentari, direttamente sul territorio. Nella loro storia i Verdi non sono mai riusciti a raggiungere il successo elettorale di molti partiti verdi in tutta Europa. Avevano una quota stabile di voti intorno al 2% e hanno registrato un leggero calo dagli anni 2010. La loro caratterizzazione come partito di estrema sinistra non li ha aiutati nel nord Italia, dove hanno ottenuto i loro migliori risultati all’inizio (ad esempio il 7,1% alle regionali venete del 1990).
I Verdi erano più forti nelle città e nelle aree urbane (Milano, Venezia, Roma, Napoli, ecc.), nelle regioni montane settentrionali, come il Trentino-Alto Adige/Südtirol (soprattutto in Alto Adige, dove erano organizzati nei Verdi locali, un partito di sinistra più ampio) e Valle d’Aosta (dove nel 2010 la sezione locale, i Verdi Alternativi, è stata confluita in Autonomy Liberty Participation Ecology), e in alcune regioni meridionali, come Basilicata e Campania.
Dai un occhio a: